Abbiamo già accennato al fatto che la mera misurazione ha senso solo se è accompagnata da opportune considerazioni. Di certo non dobbiamo pensare che la tecnologia e i suoi strumenti siano da buttare via. Lo strumento ha una validità importantissima, è sostanzialmente grazie alla tecnologia che l’uomo ha raggiunto l’attuale livello di benessere.
“Mai come in questo secolo la scienza e la tecnologia hanno avuto enormi, grandi successi, in tutti i campi, dalle telecomunicazioni alla fisica delle particelle elementari, dalle tecnologie chimiche alla microchirurgia… L’elenco sarebbe lunghissimo.” 1
Però bisogna stare attenti a saperle applicare:
“E mai come oggi questa grande potenza che l’uomo ha in mano è stata usata in maniera così riduzionista, separando le parti dal tutto. Ed è questa la ragione per cui il pianeta è malato.” 1
Non dimentichiamo che uno strumento, come indica la parola stessa, è solo uno strumento. Non lasciamo, dunque, che l’uomo diventi strumento dello strumento.
Ma fino a che punto, ragionando in termini di complessità, lo strumento è utile all’uomo?
La risposta è: fino al cosiddetto punto di biforcazione.
Possiamo prevedere che fra qualche minuto verrà a piovere?
La risposta è sì, con gli strumenti appropriati possiamo ad esempio prevedere che fra qualche giorno verrà a piovere, ma è evidente che non potremmo dire il tempo che farà l’anno prossimo.
Immaginiamo di leggere le previsioni del tempo di domani, poi del giorno dopo ancora, di un anno, due, tre, cinque anni: rimarremmo stupiti.2
Perché?
Per spiegare questo concetto ci viene incontro la geometria dei frattali. Non vorrei infliggervi una lezione di matematica, anche perché non rientra nelle mie competenze, ma un passo del libro Formicai imperi e cervello di Alberto Gandolfi esprime bene questo concetto:
“La natura si evolve in questo modo. Vi sono periodi – prima del punto di biforcazione – di stabilità e equilibrio. Quando poi il sistema raggiunge il punto di biforcazione, vi è discontinuità, caos.
A questo punto il comportamento del sistema segue un andamento non lineare. In tali condizioni di instabilità, il sistema raggiunge il punto di biforcazione e in questo punto si evolve verso un nuovo regime, impossibile da prevedere a priori.”3
Su questi principi trova fondamento la cosiddetta sindrome di adattamento di Seyle: è qui che finisce il ciclo ordine – disordine – organizzazione, descritto ampiamente ne Il Metodo (La Methode) da Edgar Morin.
Si può dire che nel punto di biforcazione la predizione ha carattere probabilistico, mentre tra punti di biforcazione possiamo parlare di leggi deterministiche.
Si tratta dunque di un avvicendamento tra caso e necessità. Essendo l’evoluzione un continuo alternarsi di equilibrio e non-equilibrio, si può chiaramente notare come la scienza classica non debba essere considerata in errore. È solamente da considerarsi insufficiente. Infatti nei periodi di equilibrio è valida e spendibile, mentre nei periodi di non-equilibrio non lo è. È il punto di biforcazione che segna la necessità del passaggio tra scienza classica e teoria della complessità.
E quindi è tra i due punti di biforcazione che ha validità la tecnologia – o meglio – la tecnologia attuale.
C’è bisogno che l’anello ricorsivo: ordine – disordine – organizzazione, descritto nel Metodo da Edgar Morin compia il suo percorso.
MONITORARE L’ATLETA SECONDO I PUNTI DI BIFORCAZIONE
A questo punto del nostro procedere nel mondo della complessità vorrei aggiungere alcune riflessioni sull’utilizzo o meno della tecnologia. Da diversi anni, progetto strumenti e software dedicati alla cosiddetta valutazione funzionale dell’atleta, oggi sono arrivato alla conclusione che uno strumento dedicato a questi scopi potrebbe avere migliori utilizzi.
In virtù di queste conoscenze, potremmo auspicare che lo strumento del futuro consenta di accompagnare l’atleta durante l’allenamento, istante per istante (real time e rispettivo feedback). Un aspetto fondamentale di cui si dovrebbe occupare la ricerca sportiva dovrebbe essere quello di individuare idonei marker e monitorarli istante per istante. In questa modalità, potremmo capire se ci troviamo in un regime lineare e quindi prevedibile, entro il punto di biforcazione, o in un regime non lineare, quindi imprevedibile, fuori dal punto di biforcazione, che non è altro che il momento in cui si manifesta la fatica. Fase che, in altri termini, sarebbe una vera e propria manifestazione del caos, momento che presuppone la necessità di cominciare il recupero per permettere all’organismo di supercompensare, come dicono in molti (ma non con esattezza) o, con maggiore precisione, di trovare un nuovo equilibrio, ad un livello più elevato. Lasciamo pertanto che il ciclo ordine – disordine – organizzazione faccia il suo corso.
I sistemi complessi si situano in uno stato vitale al limite
tra ordine e disordine,
né troppo statico né troppo caotico, altamente rischioso,
sempre in delicato equilibrio
tra creazione e distruzione.3
Questo principio dovrebbe farci riflettere sull’entità del carico da somministrare per evitare l’infortunio. Ecco dove uno strumento potrebbe trovare la sua utilità, potremmo capire fino a che punto è lecito sottoporre a stress l’organismo, per non superare quel limite oltre il quale si può incorrere in un infortunio. Non dimentichiamo che uno strumento è solo uno strumento, l’infortunio è l’effetto di una complessità a monte, quindi certe considerazioni e certe decisioni da prendere devono sempre scaturire dallo strumento più importante: la nostra mente.
Quest’ultima, con il ragionamento, l’osservazione e il dialogo con l’atleta, ipotizzerà le strategie più opportune da applicare, dando così la spinta necessaria alla nascita di circoli virtuosi che si influenzeranno l’un l’altro.
La realtà è caratterizzata da elementi interconnessi in una serie di circoli auto-rinforzanti (virtuosi o viziosi), che si allontanano dall’equilibrio, e circoli auto-bilancianti, che tendono a ritornare all’equilibrio.
Vorrei ribadire che non si tratta di un percorso semplice, perché:
- i sistemi complessi si trovano in uno stato al limite tra prevedibilità e non-prevedibilità, dove tutto è possibile, ma non tutto si realizza.3
- È impossibile prevedere con certezza quale sarà lo stato futuro di un sistema complesso, per quanto si possa invece prevedere in linea generale quali saranno i suoi possibili stati (strutture).3
- Ogni cosa è connessa ad un’altra ed ogni fenomeno ad un altro fenomeno e sovente con una grande “sensibilità”. In circostanze appropriate, la minima indeterminazione può crescere fino a rendere del tutto imprevedibile il futuro del sistema. Le connessioni sono numerose e potenti.3
La realtà non è fatta solo di immediato.
La realtà non è leggibile con tutta evidenza nei fatti.
Le idee e le teorie non riflettono ma traducono la realtà.
In un modo che può essere erroneo.
La nostra realtà non è altro che la nostra idea di realtà.
La realtà dipende anch’essa dalla scommessa.
Allora, nella difficoltà di riconoscerla realtà,
si può porre questa domanda:
è realistico essere realista?
Il piccolo realismo che crede la realtà leggibile
e che vede solo l’immediato è cieco.
Come diceva Bernard Groethuysen:
“Essere realista, che utopia!”
(Edgar Morin)
Giulio Rattazzi
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Bibliografia
- Nicola Russo, Filosofia ed ecologia, Idee sulla scienza e sulla prassi ecologiche, Guida, 2000.
- Formicai, imperi, cervelli: introduzione alla scienza della complessità, A. Gandolfi, Bollati Boringhieri-S. scient.
- Prede o ragni di Alberto De Toni e Luca Comello Alberto F. de Toni e Luca Comello, Prede o ragni, Utet Libreria Torino, 2005.