Il concetto di movimento non può essere affrontato con un approccio meramente scientifico: la scienza classica non è sufficiente a spiegare fenomeni tanto complessi. L’esercizio fisico non è lo studio della fisica o della matematica, che sicuramente ne sono coinvolte ma non lo esauriscono. Proviamo a pensare il movimento come lo scorrere senza fine della realtà, perenne nel nascere e nel morire delle cose; il flusso della vita. Per intraprendere questo nuovo percorso c’è bisogno di un metodo, o meglio, del Metodo, che non è soltanto quello scientifico. Ci deve fornire i principi operativi per pensare autonomamente. Metodo significa, infatti, “via”, “cammino”.
Cominciamo col ripercorrere alcuni passaggi fondamentali che ci aiutino a capire con cosa abbiamo a che fare quando parliamo di metodo scientifico e come esso si relaziona con le manifestazioni della realtà che ci circonda.
Nelle prossime righe ho ricollocato riflessioni di grandi pensatori presenti e passati, secondo un filo logico a
Cos’è il metodo scientifico?
Diamogli una definizione. Da Wikipedia, l’enciclopedia libera:
“Il metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso consiste, da una parte, nella raccolta di evidenza empirica e misurabile attraverso l’osservazione e l’esperimento; dall’altra, nella formulazione di ipotesi e teorie da sottoporre nuovamente al vaglio dell’esperimento.I”
Per operare osservazioni scientifiche che abbiano carattere di universalità è necessario applicare le seguenti regole:
- osservare e descrivere un dato fenomeno
- formulare un’ipotesi che lo possa spiegare
- prevedere una o più conseguenze dipendenti da quest’ipotesi
- verificare in modo sperimentale le conseguenze
- concludere (valutare): confermare o confutare l’ipotesi iniziale.
Quando le conseguenze confermano le ipotesi, si parla di oggettività delle osservazioni e si costruisce una legge; da un insieme di leggi si costruisce una teoria.
Dunque le basi della scienza sono quelle osservazioni di fenomeni naturali che chiunque può ripetere.1 Da qui nasce l’importanza di una descrizione dei fenomeni e delle conclusioni in termini selezionati, rigorosi e univoci, in modo che ognuno disponga degli strumenti corretti per comunicare.
Come scrive il premio Nobel Ilya Prigogine:
“La visione classica della scienza portò a una dicotomia: nel 1663, quando Robert Hooke promulgò lo statuto della ‘Royal Society’. Egli così ne descrive gli scopi: migliorare la conoscenza delle cose naturali e tutte le Arti utili, le Manifatture, le pratiche Meccaniche, le Macchine e le Invenzioni per mezzo di Esperimenti, e aggiunge: senza pasticciare con Teologia, Metafisica, Morale, Politica, Grammatica, Retorica o Logica. Troviamo di già la divisione delle ‘Due Culture’ resa celebre dal volume di C.P. Snow. Il rinnovato punto di vista sulla natura che sta oggi emergendo supererà, si spera, tale opposizione tra interesse nella natura da una parte e interesse nell’uomo dall’altra.”2
L’obiettivo della scienza moderna (Newton – Leibniz) è stato ridurre la molteplicità e la varietà dei processi naturali a poche leggi, formulabili in modi quanto più semplici, economici e astratti, in grado di definire le condizioni necessarie e sufficienti per spiegare ogni fenomeno reale e possibile.
Newton e Galileo ci hanno insegnato che nell’affrontare lo studio di un fenomeno fisico bisogna:
- scomporlo nelle sue parti elementari, cominciando col liberarlo da tutti gli impedimenti esterni ed accidentali
- studiare il comportamento di ciascun componente
- derivare il comportamento complessivo del sistema.II
Ma questi presupposti della nostra scienza (e, soprattutto, della nostra fisica) approdano forse a un’idea distorta dell’universo, a un’idea che prende una parte (le regolarità effettivamente esistenti) per il tutto (l’assioma per cui l’universo è soltanto regolarità)?
“La natura è minacciata dagli approcci lineari, meccanicisti, arroganti e, in ultima analisi, rozzi, di una scienza tutta subalterna alla visione economicista di un pensiero unico omologante che conosce il prezzo di tutto e il valore di niente.” 2
Invece di inseguire sogni megalomani, sarebbe molto più “razionale e scientifico” farsi cullare dall’armonia del divenire del tempo all’interno delle cose della natura.
Quando ci occupiamo del mondo vivente (biologia) o dell’ambiente globale (ecologia) abbiamo a che fare con sistemi evolutivi, in continua mutazione. Non possiamo applicare criteri popperiani di falsificazione e di verificabilità, non possiamo parlare di esperimenti riproducibili, per la semplice ragione che i sistemi in evoluzione cambiano continuamente in maniera stocastica e non è dato ritornare agli stessi punti, alla stessa situazione. È la biodiversità in evoluzione a rendere tale opportunità impossibile (qualcuno direbbe ‘altamente improbabile’).2
“La differenza tra i sistemi viventi (sistemi il più lontano possibile dall’equilibrio termodinamico e che non obbediscono, quindi, né alle leggi della termodinamica classica né ai principi della termodinamica statistica, ma solo alla termodinamica evolutiva di Prigogine) e le macchine consiste nel fatto che il blue-print della macchina è sul tavolo dell’ingegnere (ed è uguale per tutte le macchine di quel tipo) mentre il blue-print del sistema vivente è intrinseco al sistema, è diverso da quello di qualunque altro sistema vivente ed è in continua variazione.” 2
Per fare questo è necessario superare la barriera tra cultura scientifica e cultura umanistica, recuperare una vera e propria transdisciplinarietà, far colloquiare l’estetica con la scienza, le persone con la natura, il soggetto con l’oggetto: questa è la via maestra per combattere il pensiero unico omologante che, proliferato sull’esasperazione del meccanicismo matematico di Galileo e di Cartesio, mira al dominio della natura. La sua più evidente conseguenza è, oggi, un’uniformità che uccide la creatività applicata alla scienza e la stessa base dell’origine della vita, la biodiversità.
“Se tutto viene omologato, standardizzato, catalogato, pesato, misurato con ‘fattori di impatto’, indicatori economici, leggi ferree ecc., non ci sarà più né bellezza, né scienza.”3
Abbiamo bisogno di una nuova mentalità: il modo di vedere le cose è più importante del cambiamento delle idee. La nuova mentalità ci conduce a vivere nell’inconsueto, nel rischio, nel caso, e ci fa abbandonare la pseudo sicurezza di un programma.
Non si tratta tanto di un programma (un insieme di ricette), ma di una strategia (cioè un’azione che si adatta a seconda della retroazione della realtà). Non ci sono risposte già pronte.III
C’è bisogno del Metodo, come direbbe il sociologo Edgar Morin:
“Un metodo non è valido se non include la complessità. Abbiamo bisogno di un metodo che ci aiuti a pensare la complessità del reale, invece di dissolverla e di mutilare la realtà.”
In che cosa consiste questa complessità, questo pensiero complesso? Scopriamolo dalle parole stesse di Morin:
“Il pensiero complesso è consapevole in partenza dell’impossibilità della conoscenza completa: uno degli assiomi della complessità è l’impossibilità, anche teorica, dell’onniscienza. Riconoscimento di un principio di incompletezza e di incertezza. Il pensiero complesso è animato da una tensione permanente tra l’aspirazione a un sapere non parcellizzato, non settoriale, non riduttivo, e il riconoscimento dell’incompiutezza e della incompletezza di ogni conoscenza. Questa tensione ha animato tutta la mia vita […]. Per tutta la vita ho sempre aspirato ad un pensiero multidimensionale […]. Ho sempre sentito che alcune verità profonde, antagoniste tra loro, erano per me complementari, senza smettere di essere antagoniste.4”
È un cammino di identificazione, di partecipazione:
“Comprendere comporta un processo di identificazione e di proiezione. Se vedo un bambino in lacrime, cerco di comprenderlo non misurando il tasso di salinità delle sue lacrime, ma rievocando in me i miei sconforti infantili, identificandolo in me e identificandomi in lui. La comprensione, sempre intersoggettiva, richiede apertura e generosità.”
A tale proposito è esemplare l’osservazione di Martin Grotiahn nel suo libro Saper ridere:
“Io non voglio vivisezionare l’usignolo per trovare il segreto del suo canto: io cerco di ascoltarlo e di capirlo; mentre l’ascolto, ne godo, e ciò potrà anche migliorare la mia comprensione.”6,7
La semplificazione è il nemico: dobbiamo pensare che il semplice e il complesso sono legati; “c’è voluta una favolosa complessità di interazioni biologiche e sociali per arrivare a un semplice sorriso.”
Continua nel prossimo articolo…
Giulio Rattazzi
Nota:
- a. Per approfondimenti fare riferimento alla sitografia e alla bibliografia
Sitografia
- I. http://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_scientifico.
- II. http://dsc.unisa.it/alberto/Alberto/CAI/2.1.1%20-%20Sistemi%20Complessi%20(1).pdf
- III. http://www.filosofiaedintorni.eu/morin.htm
- IV. http://www.vitellaro.it/silvio/Aggiornamento%20docenti.htm
Bibliografia
- Fabio P. Marchesi, Exotropia. Un nuovo modello della realtà, Tecniche nuove
- Nicola Russo, Filosofia ed ecologia, Idee sulla scienza e sulla prassi ecologiche, Guida, 2000.
- Nicola Russo, La biologia filosofica di Hans Jonas, Guida
- E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, trad. it. Sperling & Kupfer, Milano, 1993.
- E. Morin, La testa ben fatta, Cortina, 1999.
- Martin Grotiahn, Saper ridere, Longanesi, Milano, 1981, p. 8.
- Giorgio Blandino, La disponibilità ad apprendere, Cortina, Milano, 1995.
Comments are closed.